Il Palazzo Reale di Napoli è un edificio storico ubicato in piazza del Plebiscito, nel centro storico di Napoli, dov’è posto l’ingresso principale: l’intero complesso, compresi i giardini e il teatro San Carlo, si affaccia anche su piazza Trieste e Trento, piazza del Municipio e via Acton.
Fu la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre centocinquanta anni, della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, interrotta solamente per un decennio all’inizio del XIX secolo dal dominio francese con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, e, a seguito dell’Unità d’Italia, dei Savoia: ceduto nel 1919 da Vittorio Emanuele III di Savoia al demanio statale, è adibito principalmente a polo museale, in particolare gli Appartamenti Reali, ed è sede della biblioteca nazionale.
Il Palazzo Reale è stato costruito a partire dal 1600, per raggiungere il suo aspetto definitivo nel 1858: alla sua edificazione e ai relativi lavori di restauro hanno partecipato numerosi architetti come Domenico Fontana, Gaetano Genovese, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Sanfelice e Francesco Antonio Picchiatti.
Storia
Al termine della dominazione aragonese, il Regno di Napoli entrò nelle mire espansionistiche sia dei francesi che degli spagnoli: le due parti si spartirono il territorio a seguito del trattato di Granada firmato nel 1500; tuttavia questo non venne rispettato e sotto il Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba gli spagnoli conquistarono, nel 1503, il regno: ebbe inizio il viceregno spagnolo. Tale periodo, che interessò Napoli per oltre duecento anni, viene storicamente visto come un periodo buio e di regresso: viceversa la città godeva di un notevole fermento culturale e di una borghesia dinamica, oltre che di una flotta mercantile all’avanguardia in grado di competere con Siviglia e le Fiandre. Sotto Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga si decise per la costruzione di un palazzo Vicereale: progettato dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa, i lavori iniziarono nel 1543 per terminare poco dopo. La costruzione del palazzo Vicereale si pose in un periodo in cui i viceré si impegnarono in un riassetto urbanistico delle città italiane: a Napoli vennero riorganizzati le mura e i forti, ed edificati i cosiddetti Quartieri Spagnoli.
La facciata principale del Palazzo Reale si apre su piazza del Plebiscito ed era già completata nel 1616: ha una lunghezza di centosessantanove metri e fino al 1843 era congiunta a quella del palazzo Vicereale, poi abbattuto per far posto all’odierna piazza Trieste e Trento. La facciata è realizzata in mattoni di cotto rosato, piperno e pietra vulcanica dei Campi Flegrei e ha uno stile sia tardo rinascimentale che manieristico: l’impronta rinascimentale è riscontrabile nella sovrapposizione di vari ordini, tipico del edifici teatrali dell’antica Roma, come il Colosseo o il teatro di Marcello, mentre quella manieristica si nota nel disegno modulare delle facciata, una sorta di composizione che potrebbe essere ripetuta all’infinito non avendo alcun elemento che crea né l’inizio né la fine, così come, nella parte alta, è negata la conclusione vista la mancanza di cornice. È divisa verticalmente da lesene, prendendo spunto dalle indicazioni vitruviane, mentre orizzontalmente è separata da marcapiani che ne distinguono i tre ordini: al piano terra è in ordine tuscanico, segue quello ionico e infine quello corinzio.
La parte inferiore presentava originariamente portici per tutta la sua lunghezza: si trattava di una scelta architettonica innovativa per l’epoca, voluta da Fontana affinché il popolo potesse passeggiare anche in caso di tempo avverso; tuttavia dopo le vicende di Masaniello e per problemi strutturali, in quanto le colonne stavano subendo uno schiacciamento, nel 1753 le arcate furono murate per volere di Luigi Vanvitelli. All’interno della nuova muratura furono aperte delle nicchie, nelle quali, dal 1888, si posero le statue dei principali regnanti di Napoli, con l’intento di rappresentare una continuità della dinastia sabauda con la storia napoletana; da sinistra verso destra si riconoscono: Ruggero II di Sicilia opera di Emilio Franceschi, Federico II di Svevia di Emanuele Caggiano, Carlo d’Angiò di Tommaso Solari, Alfonso V d’Aragona di Achille D’Orsi, Carlo V d’Asburgo di Vincenzo Gemito, Carlo III di Spagna di Raffaele Belliazzi, Gioacchino Murat di Giovanni Battista Amendola e Vittorio Emanuele II di Savoia di Francesco Jerace.
Al centro si apre il portale d’ingresso, contrassegnato ai lati da due doppie colonne in granito e sormontato dallo stemma di Filippo III d’Asburgo, già predisposto nel progetto di Fontana a sottolineare l’utilità pubblica del palazzo; accanto a questo, su ogni lato, altri due stemmi, disposti simmetricamente e di dimensioni minori, ossia quelli di Juan Alonso Pimentel de Herrera e di Pedro Fernández de Castro, a testimonianza della costruzione del palazzo durante il periodo vicereale. Due lapidi inoltre ricordano una l’inizio dei lavori voluti da Fernando Ruiz de Castro e dalla moglie Catalina de Zúñiga, l’altra invece loda la bellezza dell’edificio: al di sotto delle lapidi erano poste, fino all’inizio del XVIII secolo, due statue in stucco raffiguranti la Religione e la Giustizia. Tra il portale principale e la balconata è posto lo stemma dei Savoia. Le due garitte ai lati dell’ingresso furono realizzate nei primi anni del XVIII secolo. Alle estremità della facciata sono posti due ingressi minori, segnati da due semplici colonne in marmo, che aumentano ancora di più il senso di indefinito e sembrano essere quasi nascosti. Lungo la facciata e nel cortile d’onore è presente, tra il piano terra e il primo piano, un marcapiano in piperno con metope e triglifi raffiguranti gli stemmi della casa di Spagna e i loro possedimenti in Europa, in maggior parte ottenuti a seguito della pace di Cateau-Cambrésis nel 1559: si nota quindi il castello a tre torri della Castiglia, il leone rampante del Leon, il biscione che inghiotte un fanciullo simbolo del ducato di Milano, lo scudo con i quattro pali verticali dell’Aragona, la croce con le quattro teste dei mori simbolo del regno di Sardegna e gli stemmi di Navarra, Austria, Portogallo, Granada e Gerusalemme. Le finestre sono inserite in robuste cornici, elemento architettonico che riscuoterà molto successo a Napoli. Sulla sommità della facciata erano presenti cuspidi e sfere, rimosse all’inizio dell’Ottocento, e tre edicole, posizionate ognuna in direzione di un ingresso: di queste ne rimane una, quella con orologio, in posizione centrale.
La facciata lungo via Acton, caratterizzata dai giardini pensili, è stato a lungo oggetto di rifacimento, soprattutto nel XVIII secolo, e terminata nel 1843. Anche la facciata che dà su piazza Trieste e Trento è stata completata nello stesso anno, opera di Gaetano Genovese, a seguito della demolizione del palazzo Vicereale: questa venne successivamente raccordata al teatro di San Carlo da Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè, demolendo i resti di una vecchia torre. Entrambe le facciate si rifanno architettonicamente a quella principale: in particolare la seconda ha una forma a C e accoglie un giardino chiamato Giardino Italia, in quanto al centro è posta una statua raffigurante la Libertà, realizzata da Francesco Liberti nel 1861. Inoltre questa facciata è in parte porticata, sorreggendo un terrazzo, mentre un ingresso a vetrata dà direttamente sullo scalone d’onore, decorato con due coppie di statue in gesso, qui collocate durante il restauro del Genovese e provenienti dal Palazzo degli Studi: si tratta delle copie dell’Ercole Farnese e della Flora Farnese da un lato e della Minerva e di Pirro e Astianatte dall’altro.