La cucina napoletana ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano e si è arricchita nei secoli con l’influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio circostante. Importantissimo è stato l’apporto della fantasia e creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea.
In quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha assorbito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell’intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi).
A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e fagioli. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate.
La cucina in Epoca greco-romana
Tra le tracce dei gusti culinari classici, diversi piatti di fattura greca raffigurano pesci e molluschi, segno del consumo di piatti di mare in quell’epoca.
Il prodotto ancora in uso più vicino al garum romano è la colatura d’alici tipica di Cetara, ed è forse una reminiscenza del gusto agrodolce tipico della cucina di Apicio e degli antichi romani l’uso di condire diversi piatti salati con l’uva passa, come nella pizza di scarole, o le braciole al ragù. Dal latino ex Apicio potrebbe provenire il termine scapece, un modo tipico di preparare le zucchine con aceto e menta.
Anche l’impiego del grano nella pastiera, dolce tipico di Pasqua, potrebbe avere un valore simbolico legato ai culti di Cerere ed ai riti pagani di fertilità celebrati nel periodo dell’equinozio di primavera.
A Napoli all’inizio del Trecento, fu scritto in latino da un cortigiano del re Carlo II d’Angiò il più antico ricettario di cucina conosciuto, il Liber de coquina. Il libro riporta ricette provenienti diverse corti, principalmente di influenza francese e napoletana, ma comprendente influssi arabi, spagnoli e di altre regioni italiane.
La cucina napoletana di fine Cinquecento è documentata dal Ritratto di Napoli di Giovan Battista del Tufo, del 1588. Tra gli ingredienti principali abbondano frutta e verdura, particolarmente i broccoli, che sono conditi con sarde, soffritto d’aglio, e succo di limone. Anche il pesce era molto diffuso, e la carne era preparata prevalentemente con ingredienti agrodolci, quali prugne, aglio, uva passa e pinoli, mandorle e cannella. Erano diffusi i latticini, paste di varia fattura e molti dei vini ancora oggi prodotti, quali l’aglianico, il fiano, l’asprinio.
Nel Seicento la fame affligge la plebe, e l’albero della cuccagna, con premi in pane, formaggio, salumi e carne diventa l’evento più importante delle feste che la nobiltà concede al popolo più povero: festa farina e forca erano gli elementi principali su cui si fondava il governo dell’epoca. Tra il Cinquecento ed il Seicento i gusti culinari cambiano con il diffondersi dei prodotti importati dall’America: pomodoro, patate, peperoni, cacao, il tacchino e si va via via perdendo il gusto per i piatti agrodolci.
L’espansione demografica della città rende più pratico l’approvvigionamento di ingredienti che possono essere conservarti a lungo, come la pasta, rispetto al tradizionale consumo di verdure in foglia. In questo periodo i napoletani, precedentemente detti mangiafoglie, divengono mangiamaccheroni.
La pasta viene lavorata in diverse trafilature che danno origine ai formati più popolari, come i vermicelli, i perciatelli, i pàccari, gli ziti.
Nel Settecento diviene sempre più importante l’influsso della cultura francese in tutt’Europa, anche nelle tendenze culinarie. Alla corte dei Borbone arrivano i monzù (napoletanizzazione di monsieurs). Prendono nomi francesi molti piatti napoletani tipici, quali il ragù (da ragout), il gattò (da gateau), i crocchè (da croquettes).
La borghesia accresce la sua importanza nell’800 e contribuisce a coniugare la tradizione culinaria popolare con la maggiore raffinatezza della cucina nobiliare. Divengono celebri i personaggi tipici dell’iconografia napoletana, quali il maccaronaro, il sorbettaro, il franfelliccaro, l’acquaiolo, il mellonaro, l’ostricaro.
Il Novecento è il secolo della diffusione su scala mondiale dei più famosi piatti della cucina napoletana, come gli spaghetti e la pizza, anche con alcune varianti, che si ripercuotono di riflesso anche a Napoli, dove alcune pizzerie cominciano a servire anche pizze con l’ananas.
L’identità della cucina napoletana resta comunque ben solida, e la creatività campana continua anche alla fine di questo secolo, che vede l’invenzione, ad esempio, della delizia al limone (1978).
Esiste una grande varietà di pasta napoletana. Nella cucina napoletana è molto più diffusa la pasta di semola di grano duro, di produzione industriale, rispetto alle paste fatte in casa, che sono molto più diffuse nell’entroterra campano ed in altre regioni d’Italia. La produzione su larga scala della pasta nel napoletano risale almeno al XVI secolo, quando a Gragnano si trovavano le condizioni ideali per essiccarla e conservarla. A Napoli sono considerati molto importanti anche i tempi di cottura della pasta, che deve essere ben “al dente”, in particolare se deve essere successivamente mantecata in padella.
Tra le varietà più diffuse vi sono, oltre a quelle più classiche, come spaghetti, linguine e bucatini, anche i formati tipici locali, come i paccherie gli ziti, che tradizionalmente vengono spezzati a mano, prima di essere cotti e conditi con il ragù. Per la preparazione di pasta con i legumiviene usata anche la pasta mista (pasta ammescata), una volta venduta a prezzo più basso perché risultante dai rimasugli spezzati degli altri formati, ma oggi venduta come un formato a sé stante. Da non trascurare sono gli gnocchi, preparati con farina e patate. Vi sono anche formati meno tradizionali, ma oggi molto diffusi, tra i quali gli scialatielli.