L’isola, secondo alcuni, trae la propria denominazione dalle cavità che costellano la costa di Posillipo (dal latino cavea, ovvero «piccola grotta», e dunque attraverso la forma dialettale caviola), oppure in dialetto gaiola significa gabbia, più propriamente gabbia per uccelli; ma, al di là delle ipotesi fantasiose, bisogna dire che in realtà questo di Gajola non è un nome proprio bensì è un comune nome geografico minore medievale, significando un’isoletta piatta a mo’ di una piccola galia, intendendosi infatti per galiola o galadella – più tardi galeotta – un vascello remiero di bassissimo bordo e di medie dimensioni che appunto differiva dalle normali e più grandi galee per la sua piattezza, non presentando sul ponte incastellature o soprelevazioni di sorta né a prua né a poppa; evidentemente il suddetto alto isolotto di Posillipo presenta o presentava, tra l’altro, una più bassa, piatta e pericolosa formazione a fior d’acqua il cui nome Galiola col tempo si estese a tutta la grande formazione tufacea.
Questo stesso nome di Galiola porta infatti l’isolotto piatto situato di fronte all’isola di Unie sulla costa del Quarnero, isolotto con faro sul quale la notte tempestosa del 30 luglio 1916 andò a schiantarsi il sommergibile “Giacinto Pullino”, incidente che costerà la cattura e poi la vita al tenente di vascello Nazario Sauro. Su tale isolotto, il quale già allora si chiamava La Galiola, il 29 novembre del 1379, spinta anch’essa da una tempesta, si era andata a infrangere già una galea veneziana della squadra di Carlo Zeno e ciò avvenne nel contesto delle operazioni belliche della famosa guerra per Chioggia che allora si combatteva tra veneziani e genovesi: «…Ed è da sapere che esso Zeno veniva con XV galere, ma una se gli ruppe sopra uno scoglio detto ‘la Galiola’; ma però gli huomini e lo havere si salvarono sopra le altre.» In realtà molti dei remiganti, poiché incatenati ai loro remi, affogarono. Si sarebbe probabilmente chiamata così anche l’isola del Πλαταμών (‘Platamone’, oggi Chiatamone) situata di fronte alla riviera di S. Lucia a Napoli, se, già dai tempi classici, non se ne fosse nascosta artificialmente la piattezza con secolari costruzioni. In origine la piccola isola di Posillipo fu nota come Euplea, e fu caratterizzata da un piccolo tempietto dedicato a Venere euploea.
L’isola, come già accennato, è molto vicina alla costa, raggiungibile con poche bracciate di nuoto. Si suppone che, in origine, nient’altro fosse che il prolungamento del promontorio dirimpetto e che sia stata separata artificiosamente solo in un secondo tempo per volere di Lucullo.
Nel XVII secolo vediamo che questo lembo di terra era praticamente cosparso di fabbriche romane; mentre, due secoli dopo, l’isola fungeva da batteria a difesa del golfo. Negli anni venti è stata in funzione una teleferica che collegava l’isola alla terraferma.
All’inizio del XIX secolo, l’isola era abitata da un eremita, soprannominato Lo Stregone, il quale viveva dell’elemosina dei pescatori. L’isola apparteneva allora all’archeologo Guglielmo Bechi, che l’aveva acquistata assieme a parte del promontorio nel 1820
Venduta l’isola nel 1874 a Luigi de Negri, questi vi costruì una villa che la caratterizza ancora oggi. Il seguente proprietario, acquistata la villa a seguito del fallimento del de Negri, sfruttò l’isola e la zona antecedente per una cava di pozzolana. La villa, che nasce in posizione privilegiata, fu anche di proprietà del celebre Norman Douglas, autore della Terra delle Sirene. Nel 1910 passò alla proprietà della famiglia del senatore Paratore, anche se questi abitò la villa prospiciente sulla terraferma, oggi parte della tenuta Ambrosio che ospita anche il Parco archeologico di Posillipo.
La popolazione del luogo, generalmente, non ha mai visto di buon occhio la Gaiola, considerandola una sorta di «isola maledetta», che con la sua bellezza nasconde «sorti inquiete», nomea dovuta alla frequente morte prematura dei suoi proprietari; ad esempio, negli anni venti del 900, appartenne allo svizzero Hans Braun, il quale fu trovato morto e avvolto in un tappeto; di lì a poco la moglie annegò in mare. La villa passò così al tedesco Otto Grunback, che morì d’infarto mentre soggiornava nella villa. Simil sorte toccò all’industriale farmaceutico Maurice-Yves Sandoz che morì suicida in un manicomio in Svizzera; il suo successivo proprietario, un industriale tedesco dell’acciaio, il barone Paul Karl Langheim, fu trascinato al lastrico dagli efebi e dalle feste, dei quali di solito amava circondarsi. Infine, l’isola è appartenuta a Gianni Agnelli che subì la morte di molti familiari; passò poi a Jean Paul Getty, il cui nipote fu rapito dalla ‘Ndrangheta e, successivamente, a Gianpasquale Grappone, che rimase coinvolto nel fallimento della sua società di assicurazioni Lloyd Centauro nel 1978.
Messa all’asta, l’isola è diventata proprietà della Regione Campania.